Stefano Fanini e il basso: jazz, rock, blues, musica senza pregiudizi
“Nella musica non ho mai avuto pregiudizi riferiti al genere”, dice. “Perché la bellezza, il groove, il ritmo, li trovi in tutti i generi musicali. E non esiste un genere bello o brutto: mi dà lo stesso gusto suonare del jazz, così come il blues, il rock, il pop, tutto”. Stefano Fanini, 44 anni, musicista umbro con alle spalle una lunga militanza su e giù dal palco, non ha dubbi: nelle cose di musica l'importante è l'attitudine che ci si mette, è “lo stare dentro la situazione. È questa una delle gioie più grandi che mi ha dato questa professione, il poter interagire con i musicisti, persone con cui magari non hai mai suonato ma trovi subito un'alchimia, un feeling”. Questo è quello che conta, dunque, per uno come lui, abituato a non sottrarsi alle sfide, grazie a un dna forgiato dal jazz e da una conseguente propensione all'ascolto. “Ho sentito parecchia passione dietro a una piattaforma come Kleisma e credo sia un interessante mezzo di promozione e marketing per chi fa il libero professionista. Anche se questa per me è una fase in cui punto più sulla qualità di una produzione”, precisa. “Cercare cioè situazioni che mi diano soddisfazione, perché oggi è diventato difficile vivere di musica, un'attività che è stata molto intensa per me in passato. Faccio anche un altro lavoro, che mi piace: mi occupo di consulenza nel settore pubblico e sono un esperto di assistenza tecnica per le pubbliche amministrazioni, lavoro su progetti di cooperazione internazionale e mi occupo come consulente di fondi dell’Unione Europea. In passato ho anche insegnato, per vivere di musica però forse avrei dovuto spostarmi, ma avendo legami familiari ho scelto, senza rimpianti”.
Oggi vive una fase in cui seleziona di più i progetti da seguire?
Mi piace fare cose belle, ogni tanto faccio qualche serata ma non è questo l’obiettivo che mi pongo. Se in certe situazioni c’è un salto di qualità, ben vengano. Se no preferisco dare priorità ad altro. La musica in questa fase non è la mia attività principale, però sto curando più il lato produzione. Ho collaborato con mio fratello Fabrizio che ha fatto un disco nel 2017, “Jerusalem”, in precedenza ho scritto musica jazz e partecipato, in qualità di compositore, a diversi festival arrivando anche in finale in contest abbastanza di rilievo e così erano arrivate anche opportunità di tipo lavorativo, ma sempre molto aleatorie o fumose. Quindi, dico, o c’è veramente situazione solida che ti fa fare salto di qualità, altrimenti la musica, per chi ha una situazione come la mia, è troppo precaria. Almeno per la realtà in cui vivo io.
Però la sua realtà è stata fonte di grandi soddisfazioni, no?
Certamente. La musica rimane sempre una grande e bella passione che sì, mi ha dato tante soddisfazioni ed è ciò che mi spinge ad andare avanti. E se non lo faccio, magari dopo un po’ mi manca. Ho avuto modo di collaborare con musicisti veramente bravi e anche ora, oltre che con mio fratello lavoro con un altro chitarrista, Fausto Perticoni, che ritengo talenti straordinari e con cui ho un'intesa musicale intensa. Poi ho suonato con gente di livello, jazzisti come Manuel Magrini, Sade Mangiaracina, raccogliendo tanti consensi. Però non è mai scattata quella possibilità per farmi dire: “mollo tutto e mi lancio”. In compenso poi sono successe altre cose che mi hanno riempito la vita.
L'importante aver preso strada giusta.
Sì, perché attualmente vivo la musica senza accanimento. Mi piace viverla e farla senza pensarci troppo, e quando la faccio mi piace farla bene. Magari poi ti trovi in intesa con altri musicisti che non conosci, e questo sul palco è molto appagante. Prima mi muovevo molto come turnista, ora con minore intensità.
Negli anni ha anche accumulato una grande preparazione, cosa su cui può contare nelle varie situazioni.
Le ossa me le sono fatte eccome. Quando suoni i generi più disparati con persone diverse, spesso in condizioni particolari, senza prove, sempre a orecchie dritte. Sono difficoltà che poi risultano altamente formative, esci dalla tua zona di confort per apprendere. Ogni cosa la vivevo così, come momento di apprendimento al di là delle occasioni più formali, perché ho anche studiato molto con grandi bassisti, in Italia e all'estero, come John Patitucci ad esempio.
A 8 anni inizia a studiare musica, classica e jazz. Poi prende anche altre strade. Come mai?Perché nel corso dell'adolescenza mi sono appassionato molto al rock, ai Deep Purple, Pink Floyd, Dire Straits, così come il pop rock internazionale. Mi piace anche il bel sound del rock e del pop, metto insieme un po' queste cose. Non ho una precisa connotazione di genere, anche se è vero che le cose più importanti mi sono capitate nel jazz.
Le ha dato molto il jazz?
È un linguaggio in cui conta l'interplay, l'interazione con i musicisti e col pubblico. L'ascolto. Mi piace nella musica trovare quella condizione emotiva e spirituale per cui riesci a esprime il meglio di te, sul palco è come se cerco di non pensare a nulla per esprimermi al meglio. Qualche tempo fa ho suonato con gruppo che faceva prove da mesi, una produzione avviata... Mi hanno chiesto di suonare con loro così, dall'oggi al domani, tutti brani originali. Ne è uscita una situazione che mi ha dato tanta soddisfazione. Dal jazz impari molto ad ascoltare, dal pop impari la cura del suono. Ho suonato tanto, tante serate, avendo fatto molta fatica anche lontano dal palco, tra montaggi, smontaggi, partenze e ripartenze: è una passione che ti fa perdere ore di sonno ma che ti gratifica molto.
Quando inizia a suonare il basso?
A 13-14 anni. Un gruppetto vicino a casa mia cercava un bassista e da lì iniziato tutto. Il mio primo insegnante mi ha detto: “Ascolta i virtuosi, allena l'orecchio”. Anche se mi ha insegnato molta teoria. Ascoltare, scrivere, entrare dentro il pensiero del musicista, le sue strutture ritmiche. Questo lavoro è stato molto formativo.
Aveva degli eroi all'epoca?
Sì, gente come John Patitucci, Jaco Pastorius, ma anche Roger Waters. Mi piaceva ascoltare gli altri strumenti e trascrivere gli assoli, cosa che ho fatto per tanti anni da giovane, la musica è sempre stata presente nella mia vita.
Quando è diventata una cosa seria?
Intorno ai 25 anni, dal 1999, decido di smetterla di studiare da solo e girare, così mi do una pausa e prendo lezioni private di basso elettrico da alcuni dei massimi esponenti dello strumento in Italia (Massimo Moriconi, Cesare Chiodo, Pippo Matino, Marco Siniscalco, Paolo Costa). Studio armonia jazz e improvvisazione con Ramberto Ciammarughi e prendo lezioni di contrabbasso da Graziano Brufani e Daniele Mencarelli. Ho partecipato anche a una serie di seminari tenuti da Stefano Bollani, John Patitucci, Mirko Guerrini e altri. Insomma, ho cambiato registro, anche se l'attivtà musicale è comunque continuata.
Ha anche insegnato, diceva.
Sì, per tre anni a Perugia nella scuola più garnde della città, la Maggiore. L'insegnamento è una cosa seria e io ho cercato di farlo con coscienza, cosa veramente faticosa. Ho però scelto di sfruttare la mia laurea in Scienze politiche per fare un lavoro diverso e portare avanti la musica per come piace a me, sul palco. La musica ti impone di fare questo. In pochi possono vivere solo di musica, di concerti. Ma mettendo insieme più attività la musica può poi darti anche maggior frutto. Per ora è così e va bene così.
Come si vive musicalmente a Bastia Umbra?
La situazione in questo senso, negli ultimi anni, è andata un po' peggiorando. Ma ci sono bravissimi musicisti nella zona che mi circonda, tra Perugia, Foligno e altri posti. In questa fase però non vedo molto fermento.
Che passioni ha oltre alla musica? Come impiega il suo tempo libero?
Amo stare con i miei figli e viaggiare. Ma anche fare passeggiate e correre, attività che mi piace molto.
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