Federica Cerizza: dalla classica al jazz tra composizione e improvvisazione
Ciao Federica, grazie per questa intervista, ti va di raccontarci da dove vieni e qual è stato il tuo percorso artistico?
Ciao ragazzi, grazie a voi per lo spazio.
Sono della provincia di Milano e ho iniziato a suonare il pianoforte da bambina, la cosa che sin da subito mi emozionava ed entusiasmava di più era inventare musica al pianoforte: partivo dai suoni che mi colpivano e da lì creavo i miei accordi e le mie melodie. Mi piaceva anche studiare i primi brani certo, ma inventare musica per me era un’altra cosa: un mondo intimo, emozionante, fantasioso e tutto mio.
La passione per la musica è arrivata da mio papà che colleziona dischi in vinile da tutta la vita. Quello del collezionista (e di chi vive con lui) è un mondo fatto di pile e pile di dischi, ricerca di etichette, edizioni rare, copertine e discografie da completare. Perciò la prima musica che ho ascoltato era quella che amava mio papà ed arrivava in buona parte dal rock inglese e americano: gli America, i Supertrump, James Taylor, Neil Young, i Genesis, i Beatles, gli Emerson Lake and Palmer e moltissimi altri.
Tra l’enorme discoteca che avevamo in casa c’erano dischi introvabili, musiche da veri amatori che in famiglia si ascoltavano con molta naturalezza e apertura. Avere questo background musicale è stato bellissimo e davvero importante per me.
Quando ho deciso di iscrivermi al conservatorio la genuina ragione che mi spingeva a farlo era quella di imparare a suonare bene il pianoforte, allo scopo di far meglio la mia musica. Da quel che sapevo la scuola per i musicisti era quella, così ho iniziato i miei studi da privatista, andando in conservatorio solo a dare gli esami.
Suonare musica classica mi piaceva ma i miei gusti personali andavano verso Keith Jarrett, vera colonna sonora della mia adolescenza, e verso i suoni che mi ricordavano il jazz, il funk e il rock di mio papà.
Dopo il liceo il cambio di ordinamento del conservatorio mi ha spinto a continuare gli studi come allieva interna presso il Conservatorio Guido Cantelli di Novara. Qui mi si è aperto un mondo nuovo: un diverso approccio allo studio del pianoforte e un’immersione a capofitto nella musica classica. Mi sono appassionata moltissimo dei compositori che man mano studiavo: Bach, Schumann, Bartok, Debussy, Shostakovich, Hindemith e una serie infinita di altri musicisti. Sono stati anni cruciali in cui lo studio del pianoforte e della musica sono diventati totalizzanti ed esclusivi. E’ stato il momento in cui cercavo, accompagnata dai miei insegnanti, di superare i miei limiti e di sondare le mie capacità, con i necessari e opposti momenti di crisi e di esaltazione.
Quando ho terminato il conservatorio ho cercato di capire cosa volessi realmente fare con la musica e il pianoforte e dentro di me sapevo che la mia strada era un’altra.
Così ho cambiato radicalmente direzione e mi sono immersa nel mondo del jazz, dell’improvvisazione e della composizione. Mondi che sento miei e che mi riconnettono con il mio innamoramento originario e infantile verso il pianoforte e la musica.
Qual è il tuo sogno nel cassetto? Dove vorresti arrivare?
Ho sempre pensato che inventare e suonare la propria musica fosse il sogno più grande che mai si potesse avere. Ora so che, più modestamente, è il mio sogno più grande.
Ammiro i musicisti che scavano dentro di sé fino ad arrivare alla loro parte più vera, siano essi compositori classici, musicisti jazz, gruppi rock o di qualsiasi altro genere. Loro sono gli artisti cui cerco di assomigliare.
Nel canale dell’improvvisazione ho trovato un modo per creare musica che nasce dall’emotività e dall’intuizione, dalla scoperta istantanea, dai suoni della propria immaginazione e da quelli immagazzinati in anni di studio e di ascolto.
Improvvisare in gruppo poi è come trovarsi a un tavolo a conversare con altre persone. Ascoltare le idee e i pensieri degli altri, entrare in empatia con loro o magari contestarli.
E come nelle belle conversazioni tutto avviene con grande attenzione e nel totale rispetto dell’altro.
In conclusione sono convinta che da bambini la nostra natura sia già tutta lì e le attività a cui ci dedichiamo durante l’infanzia siano già quelle a cui dovremmo dedicarci per il tempo successivo.
E la soddisfazione più grande ottenuta fin qui? Qual è?
Credo che la cosa più bella sia stata quella di capire che la mia musica aveva un valore artistico. Che non era solo un sogno romantico tutto mio. Le parole, le frasi di stima e incoraggiamento ricevute da musicisti che di jazz e improvvisazione hanno fatto la loro vita, per me sono state e sono tuttora la soddisfazione più grande. Una linfa al mio studio e alla mia applicazione in questa bellissima e tortuosa strada.
Hai mai affrontato delle difficoltà per cui hai pensato di lasciare la musica?
Vi dirò la verità: la musica mai, il conservatorio sì.
Per me quelli sono stati anni un po’ complessi perché mi sono scontrata con una realtà che era (a tratti mi appariva) diversissima dalla mia. Non parlo tanto della musica che studiavo, di cui mi sono sinceramente innamorata, ma dei percorsi che avevano alle spalle i ragazzi che frequentavano il conservatorio e delle motivazioni che li spingevano a suonare. Di solito tali motivazioni erano: una passione viscerale per la musica classica e il sogno di diventare degli ottimi esecutori. Intenti nobili ma lontani dai miei. Ho fatto fatica a fare pace con l’idea che negli anni in cui io ascoltavo Keith Jarrett e a mio modo cercavo di imitarne i suoni, gli altri avevano passato ore e ore a studiare brani complicatissimi, seguiti da insegnanti preparatissimi che avevano dato loro una solida formazione da pianisti.
Va da sé che le storie e le vicissitudini reali che si celano dietro ai ragazzi che studiano in conservatorio sono molto più complesse e variegate di così, cerco solo di descrivere come esse mi apparivano.
Mi sentivo disperatamente indietro rispetto a tutti e di conseguenza studiavo tantissimo, forse troppo, nel tentativo di assimilare tutto ciò che mi mancava. Certo, questo immenso studio ha portato, fortunatamente, anche qualche risultato…
In ogni caso il pensiero di lasciare il conservatorio mi ha sfiorato, ma ho avuto buoni maestri e un po’ di autoironia. E’ un percorso che mi ha insegnato tantissimo ed è stato decisivo per farmi scegliere definitivamente il mondo della musica. Quindi lo rifarei assolutamente, forse prendendolo più alla leggera e non come una questione di vita o di morte…
C'è una grande ricerca nei tuoi lavori: qual è la parte che preferisci della tua attività e quella che ti piace meno?
Lo studio, il passare tante ore alla ricerca di suoni e idee, è la parte che richiede più tempo, energie e soprattutto passione. Studiare, ricercare dentro di sé è, per me, l’attività più bella del fare musica.
Poi c’è l’incontro con i musicisti e con il pubblico. La musica è un veicolo incredibile per entrare in comunicazione con gli altri, sia con le persone con cui suoni in quel momento, sia con le persone che in quell’istante ti stanno ascoltando. Non so quante persone meravigliose la musica mi abbia dato modo di conoscere, alcune di queste mi hanno letteralmente cambiato la vita. Trovare i propri musicisti, le persone con cui si crea da subito un’intesa musicale naturale e profonda, è sempre raro. Quando accade è bellissimo, si sprigiona entusiasmo puro, ti senti la persona più fortunata e grata al mondo.
Suonare con loro dal vivo è una delle esperienze più belle che si possano mai fare.
Inoltre ho sempre una grande ammirazione per chi viene ad ascoltarmi: l’idea che qualcuno venga lì apposta per me, per sentire cosa ho da dire e che mi regali un’ora del suo tempo, mi sconvolge sempre.
Lo trovo quasi miracoloso, mi investe di una responsabilità verso chi mi ascolta.
Dell’attività del musicista la parte meno idilliaca è sicuramente quella pratica…trovare concerti, riuscire ad essere pagati in modo degno, capire come vivere di musica. Sono tutti argomenti dal contorno un po’ fumoso, spesso si fatica a capire in quale direzione muoversi, tante volte si sbaglia o si prendono delle belle fregature…
Se volessimo definire con una parola il tuo progetto musicale, quale sarebbe?
L'improvvisazione per me é stata la chiave per scoprire il pianoforte, il suo suono e la mia fantasia. Mi accompagna da sempre: il mio mondo musicale che negli anni si é arricchito dei suoni della musica che ho studiato e amato. Che studio e che amo.
Direi che “improvvisazione” potrebbe essere la parola adatta.
Che emozioni cerchi di trasmettere a chi ti ascolta?
Con la mia musica cerco di trasmettere intensità e bellezza, poesia. Le emozioni poi vengono da sé, sono personali e uniche, diverse per ogni ascoltatore.
Per quanto riguarda le sonorità musicali, c’è un suono particolare che ricerchi e che vuoi trasmettere?
Un suono in particolare no, ho però una serie di sonorità che mi colpiscono e a volte sconvolgono per bellezza e intensità. Di conseguenza le ricerco nella mia musica.
Tanto arriva dal jazz, di cui amo le armonie, il ritmo, i voicing, il fraseggio. Lo considero un linguaggio che ha da insegnarmi molto e perciò gli dedico tante ore del mio studio e del mio ascolto, un po’ come a suo tempo ho fatto per la musica classica, soprattutto quella del Novecento. Inoltre dei musicisti jazz amo il fatto che non solo sono musicisti monumentali ma compositori fatti e finiti. Scrivono la loro musica e la fanno suonare in modo unico attraverso la loro personalità.
Questo mi attrae come una calamita.
Ma ci sono altre sonorità che mi affascinano e che ricerco: parte del rock progressive, alcuni autori di musica contemporanea, le armonie del soul e del funk, il coinvolgimento emotivo dei musicisti romantici.
So che possono apparire come generi che tra loro hanno poco in comune, ma a volte più che un suono si ricerca un atteggiamento, un’intenzione che si scorge in un certo filone musicale. Poi è la fantasia a prendere tutti gli elementi che vuole e ad assimilarli come meglio crede.
Come funziona la tua fase di composizione di un nuovo brano?
I miei brani nascono dall'improvvisazione libera, non compongo a tavolino. Durante l'improvvisazione l'emozione è molto viva in me e a volte sento che una successione armonica, una melodia o un ritmo possono essere il sentiero giusto per far nascere un pezzo.
Allora mi fermo, mi registro e da lì inizio a lavorare sul brano, principalmente sulla sua forma. Ma la musica, per come si manifesta a me, si sviluppa da qualcosa che sul nascere è già emotivamente molto presente, che mi colpisce così tanto da farmi interrompere il flusso di pensiero libero.
E mi fa dire: "ecco l'idea!".
Aldilà dei risultati raggiunti, qual è il brano di cui sei più fiera e perché?
Vibrazioni è il brano a cui sono più affezionata. L'ho composto in uno dei miei luoghi del cuore, in Liguria, in una piccola chiesina che avevano aperto apposta perché io potessi avere un posto per studiare e comporre. Questo brano l’ho registrato in tante tinte e formazioni diverse: in piano solo, in duo e in trio. Nel 2017 Vibrazioni ha vinto il concorso promosso da Fondazione Estro Musicale dedicato alle composizioni originali, è stata una grande emozione per me.
Parliamo di live: qual è stata la tua migliore esperienza? Hai qualche aneddoto a riguardo?
Ci sono tanti concerti a cui sono affezionata, per motivi diversi.
Una delle serate più belle però è capitata poco tempo fa, quasi per caso. Ho incontrato dei ragazzi incredibili, bravissimi ed appassionati, in un luogo già di per sé magico, un festival musicale immerso nella natura, e c’è stata da subito un’intesa rara tra di noi. Per me è stata una delle esperienze di improvvisazione più intense, abbiamo suonato per quasi due ore senza accorgerci, come fossimo dentro una bolla atemporale. C’erano solo ascolto e dialogo tra di noi, musica ed emozione. Come se suonassimo insieme da tanto, tanto tempo.
La tua carriera si sta evolvendo molto velocemente: come ti vedi tra dieci anni?
Tra dieci anni vorrei continuare a fare la mia musica, senza darle dei paletti o dei confini entro cui stare, avvicinarla sempre di più al mondo di oggi, quello contemporaneo.
Parlare alle persone di oggi attraverso l’arte dei suoni. Per me non esiste sogno più grande di questo.
Grazie Federica è stato un vero piacere conoscerti, ti seguiremo da vicino!
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