Ciao Daniela, grazie per questa intervista, possiamo chiederti da dove vieni e quale è stato il tuo percorso?
Certamente, sono nata a Gravina in Puglia (BA). Ho iniziato a suonare all’età di cinque anni e a comporre a nove. Mi sono diplomata in pianoforte affiancando gli studi di composizione. Ho partecipato a numerose masterclass e sono risultata vincitrice di numerosi contest e concorsi: 2017 Web Talent V.I.T.A., 2018 Premio Argojazz e Premio Fondazione Estro Musicale, 2020 Digital Contest di Kleisma e L’isola che non c’era. Ho quattro album e diversi singoli all’attivo: “Volo di Gabbiani”, del 2005, raccoglie musiche da me composte tra gli undici e i diciotto anni; nel 2016 è uscito “Fluide Risonanze”, composto, arrangiato ed eseguito in quartetto (flauto, violino, violoncello e pianoforte); il 2017 è l’anno di "GAME OVER", il 2018 de "Lo Specchio", e il 2019 del progetto Quattro Singoli per le Quattro Stagioni: "RENDEZVOUS", “Claudine & Jean-Pierre”, "NUMA" e “Sottovoce”. Nel 2020 è uscito il mio ultimo lavoro, “Mondi Paralleli”. Ho scritto e arrangiato per diverse formazioni e orchestre nel mondo.
Qual è il tuo più grande obiettivo Daniela?
Amo comporre e cimentarmi con qualsiasi stile o genere. Scrivere è ciò che più amo e ciò che più mi rappresenta. Mi piacerebbe scrivere per il cinema, per il teatro e non solo. Amo giocare con la timbrica degli strumenti e adoro l’orchestra. Il mio sogno più grande è averne una a disposizione per poter esprimere al meglio la mia musica.
Hai già una carriera fatta di grandi successi ma qual è la soddisfazione più grande ottenuta finora?
Ogni traguardo raggiunto è una soddisfazione, essendo io dell’idea che la soddisfazione più grande sia superare se stessi. E’ indescrivibile, per me, la gioia legata a ogni premio, ogni singolo e ogni disco che posso stringere fra le mani, tanto quanto i feedback che mi arrivano da ogni parte del mondo. Sono grata alla vita e alle gioie che mi ha regalato, fra le quali amo ricordare La Sorgente, mia composizione per orchestra d’archi, oboe e fagotto eseguita in prima assoluta a Padova da I Solisti Veneti diretti dal M° Claudio Scimone (2017). Sono anche molto legata a Luci e Ombre, brano per pianoforte solo da me scritto ed eseguito al Schloß Schönbrunn di Vienna dalla pianista Monique Cìola (2018). Ricordo inoltre con stupore e gioia il boom di streams legato a due dei miei singoli: Claudine & Jean-Pierre ha raggiunto tredicimila ascolti su Spotify in tre giorni e sessantamila in una settimana, record eguagliato in soli tre giorni da Sottovoce.
Vederti e sentirti suonare i tuoi brani oltre ad affascinare fa pensare che ti venga semplice e naturale ma hai mai affrontato delle difficoltà per cui hai pensato di lasciare la musica?
Certo che ne ho affrontate. Come tutti, del resto. Ma se credi davvero in qualcosa, allora automaticamente la paura di fallire si trasforma in coraggio. Dicono che quando cadi, ti rialzi. Quindi basta semplicemente crederci, cadere, rialzarsi e andare avanti.
Se dovessimo descrivere in una parola il tuo progetto, quale sarebbe?
Credo che la parola in grado di descrivere maggiormente la mia musica sia: classica. È vero che a tratti prendo in prestito elementi appartenenti ad altre sfere, come il jazz o il blues, ma la mia formazione classica, consolidata dagli studi in conservatorio, è per me un retaggio imprescindibile, nonché base sulla quale costruisco tutte le mie produzioni musicali.
Nei tuoi brani c'è moltissima ricerca, che tipo di sonorità possiamo trovare?
In molti dicono che lo strumento di un pianista sia il pianoforte. Io sono dell’idea che il mio strumento siano le mie mani, perché esistendo diverse tipologie di pianoforte, desidero sempre che il mio tocco rimanga invariato. Credo che la matrice comune della sonorità che vado cercando sia la morbidezza: ogni nota è legata a quella precedente e a quella successiva, per cui amo percepire i passaggi come se le corde del pianoforte fossero quelle di un violino e le mie mani una sorta di archetto. Il forte o il fortissimo sono sempre eseguiti in maniera morbida e fluida, soprattutto perché il senso della vita è per me correlato alle emozioni dell’universo, idea che cerco di trasferire alle mie mani, affinché le note che suono raggiungano il pubblico.
E' davvero semplice emozionarsi con i tuoi brani, tu cosa cerchi di trasmettere nelle persone?
La musica è sempre stata non solo una compagna di vita, ma anche una terapia, al punto che se non avessi avuto lei, non so dove sarei, ora. Ho sempre pensato che la mia capacità compositiva fosse un dono del cielo, ed essendo io dell’idea che la condivisione sia alla base della gioia di vivere, ho sentito sin da piccola il bisogno di condividere con altri la capacità di salvezza dell’anima intrinseca alla musica. I miei brani nascono perlopiù da esperienze ed esigenze personali, ma cerco di mantenere in ciò che compongo una visione aperta e in grado di abbracciare anche chi mi ascolta, disegnando percorsi catartici che possano fungere da mano tesa da afferrare in caso di bisogno.
Se ti chiedessi "chi ascolta la tua musica"?
Questa è una bella domanda, in quanto o la musica classica ti piace oppure no. Eppure il gruppo di persone che mi ascoltano è davvero eterogeneo: c’è l’appassionato di classica, ma anche il rocker che ha bisogno di staccare dalle sonorità più forti per godersi le frequenze morbide e rotonde del pianoforte. Non ho pertanto un fan “tipo”, bensì tante tipologie di persone che hanno bisogno di intraprendere nuovi ascolti per conoscere, per darsi delle risposte o, più semplicemente, per curiosità.
Facendo attenzione alle tue composizioni si sente la cura assoluta per i dettagli, ti ritieni una perfezionista? C'è qualcosa che vorresti migliorare ulteriormente?
Sono molto severa con me stessa, per cui pur gioendo di ogni mia performance o di ogni disco, considero tutto la fotografia di un momento, da “stampare” con gli occhi della mente e da osservare affinché io possa migliorarmi, dal punto di vista esecutivo e compositivo. Siamo evoluzione e cambiamento, per cui cerco sempre di imparare da me stessa, dalle mie esperienze e dai miei errori per rendere la mia musica sempre più vicina all’ideale che ho di lei.
Torniamo alle origini ora, qual è stato il tuo primo brano?
Il primissimo brano non è mai stato pubblicato, perché quando ho dovuto scegliere i brani da inserire nel primo disco mi sono resa conto che tutto quel che avevo composto fino a quel momento non aveva un titolo: ero semplicemente felice di fluire con la musica, senza dover ricorrere all’utilizzo dell’alfabeto. Ma anche se ad ascoltarlo oggi quasi sorrido - ero davvero acerba! - ricordo con lo stesso stupore di un tempo la felicità che ho provato nel comprendere che avevo trovato un modo per esprimermi, senza dover tenere tutto dentro.
Hai fatto tanta strada da allora, dove credi di esser migliorata maggiormente?
Sai la possibilità di studiare, gli enormi sacrifici e le ore trascorse sullo strumento sono stati fondamentali per la mia crescita non solo artistica, ma anche personale. Studiare e migliorare da tutti i punti di vista è come aumentare il proprio “arsenale” di possibilità, di strumenti a disposizione, di colori con i quali dipingere una tela immaginaria. Più studiavo, più capivo come esprimermi.
Parlando di composizione, come funziona questa fase nel tuo processo creativo?
Non ho un modus operandi. La vita è un continuo fluire, per cui un brano può nascere anche senza che io mi sieda al pianoforte: mi ascolto, ascolto i miei pensieri e compongo nella mia testa,chiudendo gli occhi oppure annotando tutto sul foglio pentagrammato che raramente non ho con me. Le melodie sono per me come Romanze senza parole, per prendere in prestito Mendelssohn, che appaiono nella mia mente quando ho bisogno di dare una forma al mio sentire interiore.
Al di là dei risultati raggiunti, qual è il lavoro artistico di cui sei più fiera?
Lo Specchio e Mondi Paralleli sono due opere completamente diverse, che rappresentano due momenti differenti della mia vita. Eppure sono per me come le due facce della stessa medaglia, perché a differenza di Fluide Risonanze e Volo di Gabbiani si avvicinano molto di più al mio modo di concepire la vita e le cose. Mi piace pensare che tutto abbia un cuore, anche le cose, la vita stessa; pertanto, quei due album mi hanno permesso di raccontare la visione tridimensionale che regalo al mondo, dal quale cerco sempre di togliere quel velo di Maya che fa spesso sì che l’essenziale sia davvero invisibile agli occhi.
Ci sono degli artisti che consideri come un riferimento o che hanno contribuito alla tua crescita?
Amo la musica a 360º, per cui non c’è qualcuno che io ami in particolare: ho sempre ascoltato la musica in base al mood del momento, per cui posso trascorrere giorni interi ascoltando soltanto Bach, Rachmaninov o Petrucciani. C’è però un artista, Richard Clayderman, che mi ha fatto amare immensamente il pianoforte. Ricordo che mia mamma aveva una musicassetta che ho letteralmente consumato, a furia di fare avanti e indietro per sbobinare tutto quello che quell'affascinante pianista biondo suonava sul suo pianoforte bianco
Hai una lunga esperienza live, cosa ti colpisce di più durante le tue esibizioni?
Ho un bellissimo ricordo di ogni esperienza live. Mi piace pensare che ogni live sia la fotografia di un momento, e quando si sfoglia un album di ricordi ogni foto diventa irrinunciabile. Inoltre, più che un aneddoto, potrei dire che succede sempre un fatto che mi emoziona tantissimo: il silenzio. È raro mantenere la concentrazione durante un evento legato al piano solo, eppure mi rendo conto che quando inizio a suonare, dopo dieci, quindici secondi cala un silenzio meraviglioso, che amo percepire come l’abbraccio della gente, che mi ringrazia per quel che sto regalando loro.
E come ti prepari per riuscire a regalare queste emozioni?
Può sembrare strano, ma non ricerco assolutamente né silenzio né concentrazione. Cerco invece il contatto con il pubblico, perché amo portare più emozioni possibili nella mia musica, e interagendo con la gente, ascoltando le persone e parlando con loro mi carico di positività, che rilascio poi al momento dell’esecuzione sul palco, quando fisicamente sono sola, ma energeticamente non lo sono.
Ti senti più a tuo agio fra le mura di uno studio oppure nella dimensione live?
Sono due dimensioni diverse. Nei live spesso si può correre il rischio di non sentirsi a proprio agio, perché comunque si è in balia di tante emozioni. Eppure è meraviglioso e impagabile, perché le emozioni fluiscono, con un ritorno dettato dall’entusiasmo del pubblico. Il live è la miglior espressione della legge secondo cui nulla si crea né distrugge: le emozioni si trasformano in un moto perpetuo che mi travolge così tanto da toccare corde che nemmeno credevo di avere. In studio, invece, devi scendere a compromessi e fare immediatamente pace con te stesso, accettando che quel che suonerai sarà solamente la fotografia di un momento nonché una delle tante tipologie interpretative che puoi donare a un brano. Talvolta è difficile mandar giù le inevitabili autocritiche, ma è davvero necessario scendere a compromessi, per non correre il rischio di non avere nemmeno una take.
C'è un'emozione particolare che desideri trasmettere al tuo pubblico durante un live?
Amore. L’amore e la tenerezza che mi avvolgono, e di cui cerco di trasmettere l’abbraccio anche a chi mi ascolta. La convinzione che non siamo soli, essendoci tutto l’universo intorno a noi che ci tiene stretti a sé.
Siamo certi che ti attenda un fantastico futuro, tu come lo vedi?
Qualche tempo fa un giornalista mi ha dedicato un articolo intitolato “Sulle orme di Ennio Morricone”. L’augurio che faccio a me stessa è che io possa diventare come lui, e ho solo un modo per riuscirci: crederci. Se poi non dovessi riuscirci, sarò comunque fiera di aver potuto dire “Ci ho provato”. Del resto, nella vita è meglio avere ricordi che rimpianti.
Grazie Daniela per questa bellissima chiacchierata, ti seguiremo da vicino!
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