“Tutto è possibile”. Carlo Rubini: la musica, il basso e una vita (da vivere al meglio)
Il basso al centro e una band in cui crescere e imparare tutto ciò che serve. Poi la musica, gli ideali, il palco, a formare carattere e personalità, a dare alle cose la giusta priorità. Perché siamo ciò che viviamo, le scelte solo una conseguenza. Carlo Rubini, bassista, manager e compositore, 33 anni di Padova, sa bene ciò che vuole dalla sua professione: una risolutezza conquistata sul campo, a testa bassa, palco dopo palco. In Kleisma, dice, ha trovato “una piattaforma che si pone in maniera interessante, completa e con molto spazio lasciato all’interazione tra le persone». Punto fondamentale, quest'ultimo, per chi come lui ha “deciso di fare un determinato percorso nella mia vita musicale in cui privilegio il rapporto umano”.
Crede che possa portare qualcosa in più a chi come lei ha già un percorso avviato?
Penso di sì, perché chi fa musica per professione anche se ha contatti, occasioni, circuiti, alla lunga tende a fermarsi a quelli consolidati, alle certezze. Con Kleisma si possono creare connessioni nuove, anche per chi è professionista. Queste cose mi piacciono molto.
Che formazione musicale ha avuto? In famiglia girava musica, l'hanno spinta a imparare uno strumento?
Non sono stato spronato molto a suonare dai miei genitori. A meno che non si trattasse del pianoforte, cosa che ho fatto per 5 anni. Mio padre non suonava, solo la chitarra ai tempi in cui ha fatto il militare, mia madre non ha mai suonato nulla. Mio fratello, tre anni più grande di me, invece suonava la chitarra. Io da piccolo ho ascoltato tanta musica classica, ma il primo cd che ho chiesto è stato “Canzone” di Lucio Dalla. Tanta classica, musica italiana con appunto Dalla, Bersani, De André, Guccini che sentivo alla radio, a cui stavi attaccavo per registrare la canzone che ti piaceva. Poi ascoltavo i Queen, ho comprato “Piece of Mind” degli Iron Maiden e ho visto “Cliff ‘Em All” su Cliff Burton. E lì mi sono appassionato sul serio. Ho chiesto a un amico che aveva un basso di provare a suonarlo, e lui mi disse: “Lascia stare, non sei in grado”. E io da persona competitiva quale sono ho preso lo strumento in prestito e in due settimane ho imparato a suonare “Come As You Are” dei Nirvana. E qui è iniziata la mia storia con il basso.
Quando è entrato nei Kismet?
Sono una band di Rovigo, io per questo ho fatto una vita un po’ da nomade. Sono nato a Verona, sono andato a Venezia ad abitare e avevo una band anche a Treviso. Non era un problema la distanza. Dopo il liceo mi sono lanciato nel grunge, il rock'n'roll e il metal. Verso la fine della scuola ho provato ad andare da un maestro, io che avevo sempre fatto le cose da autodidatta. Suonava il basso nei Kismet, che sono andato a vedere. Spaccavano eccome e lui era un musicista incredibile. Dopo due mesi e mezzo di lezione mi chiese se avessi voglia di prendere il suo posto nella band.
E che ha risposto?
Beh, non erano tempi facili né ero tecnicamente preparato. Ma lui aveva creduto in me e ho accettato la sfida. Avevo 18 anni e loro ne avevano 24 o 26, una buona distanza di età ed esperienza. Mi hanno preso e da lì, dal complesso di inferiorità rispetto al bassista precedente (diventato uno dei miei migliori amici) siamo diventati una cosa unica con la band. Band che ho poi lasciato per divergenze di opinioni dopo 11 anni. Penso che è meglio lasciare quando sei al massimo e non con i rapporti incrinati. Mi hanno dato moltissimo.
Ha girato l’Europa con loro e suonato tantissimo…
Abbiamo vinto diversi premi tra cui il Tour Music Fest, con premio consegnato direttamente da Mogol: una soddisfazione enorme. Da lì si è mosso un po’ tutto, con tournée all’estero, in Germania, in Grecia e in particolare in Inghilterra, dove abbiamo chiuso con l’ultima data alla O2 Arena. Esperienze incredibili. Con i pro e i contro del caso.
Molti mitizzano la professione, che ha diversi risvolti...
Sono entrato in una band e suonavo per fare casino, facevo rock'n'roll, glam rock e mi piaceva un sacco perché mi permetteva di sfogarmi. Man mano che sono cresciuto è cresciuto anche il desiderio di fare il musicista professionista, che girava il mondo, sempre su un aereo o su un tour bus. Quello era il mio sogno. Ma mentre cominciavo a guadagnare alcune di quelle cose, come i tour, gli endorsement, l'essere sempre in giro, ho cominciato a capire che non è tutto oro ciò che luccica, memore della storia di alcuni dei miei miti, come Billy Sheehan dei Mr. Big. Ho visto che il valore della vita vera, quella di tutti i giorni, era parallelo a quello della musica. Poche persone sono serene e vivono sereni questa condizione. E lo dico da persona che ha sempre voluto farsi una famiglia, una cosa difficilmente conciliabile col fatto di dire sì a tutti e fare il lavoro da musicista. Perciò a un certo punto ho deciso di farlo al 50% e decidere cosa voler fare, con le mie tempistiche. E di dire anche qualche no.
È la molla che fa prendere a volte scelte importanti.
Sì, perché anche perché qualunque cosa si fai durante la giornata bisogna tornare a casa la sera, poterti guardare allo specchio ed essere soddisfatto di te stesso. Indipendentemente da cosa fai. Quello che la vita ti dà in alcune parti, ti toglie in altre. Io ho avuto la “fortuna”, diciamo, di rischiare di morire tre volte. La chiamo “fortuna” perché ha avuto come risvolto quello di segnare una svolta religiosa nella mia vita. Penso che questo amore bisogna lasciarlo in giro. Amore e bene. Se cominci però a mancare di rispetto verso te stesso o verso gli altri c’è qualcosa che non va, e soprattutto la vita ti presenta il conto. Puoi fare ogni cosa, ogni eccesso possibile, ma è una bolla che poi quando esplode capisci che non hai più rapporti stabili, veri, sinceri, e questo non è certo un bene.
Così ricomincia da capo, ma concentrandosi sullo strumento. Un’altra prospettiva. Cosa fa?
Ho passato nove anni da autodidatta, poche lezioni ma molto orecchio, il che mi ha salvato e aiutato a crescere come musicista a livello di interplay, cosa che tanti ragazzi ora ignorano totalmente. A un certo punto però, una volta chiuso il percorso con i Kismet, ho ricominciato da capo. Ogni tanto abbiamo bisogno di fermarci, come musicisti. Come fa per esempio un’azienda. Fare il bilancio e capire dove si è investito bene e dove si è investito male. Dove bisogna migliorare e, soprattutto, quali nuovi obiettivi darsi. Ci vogliono sempre stimoli nuovi e capire perché a volte ti mancano. Una casa se è buona la ristrutturi, se non lo è conviene buttare giù tutto e ricostruire daccapo.
Un altro risvolto della sua professione è quello di manager. Ce lo racconta?
Nelle band passate scrivevo e arrangiavo parte dei pezzi. Mi hanno insegnato a fare gruppo. Io fondamentalmente sono un passionale, una persona molto diretta, a volte rude, un “orso” come vengo soprannominato da anni. Ma se c’è qualcosa che non va, te lo dico. Ho conosciuto Laura Pirri suonando musica anni Ottanta, lei è una incredibile cantante soul e gospel. È pazzesca. Io venivo dal rock, ma mi sono fidato e mi sono buttato. Mi ha insegnato tantissime cose, ha un incredibile talento ma è timida dal lato manageriale. Così ho cominciato a lavorarci su, da questo punto di vista. Nel corso degli anni, ho lavorato come commerciale e venditore, così ho studiato il mercato. Ora con l’avvento dei social tante attività sono diventate importanti, devi avere una pagina Facebook attiva. Ho imparato la lezione e ho sfruttato quelle conoscenze. Essere perfetti alle prove, sul palco, i clienti, i contratti. Con Laura ci stimiamo molto a vicenda e siamo molto di stimolo l'uno per l'altra.
Che progetti segue ora?
Ho un lavoro diurno in campo commerciale-tecnico; per la musica attualmente i progetti attivi con Laura, che sono i Whitevoices (ovvero il suo gruppo storico soul-funky-pop), il tributo a Mina (Laura Pirri canta Mina), il tributo ad Adele (Skyfall Adele Project Band), un trio intitolato “Laura Pirri: Jazz vs Soul” stile Post Modern Jukebox. Collaboro con Julian Corradini in arte Julico, cantautore italoargentino molto talentuoso. Sto scrivendo alcuni pezzi per un mio album che non ho fretta di fare uscire perché prima deve vedere la luce il primo cd di inediti di Laura Pirri che è attualmente in lavorazione.
Ha altre passioni oltre alla musica?
Ho questa indole ascetica per cui non sopporto molto i luoghi affollati. Sembra assurdo ma è così. Prima dei concerti faccio il soundcheck, mangio e mi faccio una camminata di un’ora, un'ora e mezzo. Poi ritorno poco prima di cominciare a suonare. Amo la natura, camminare, scoprire posti nuovi e incontaminati, prendermi del tempo per me. Amo i gatti e ne riempio la casa. Orgoglioso del diploma ottenuto al liceo artistico a Venezia, ho ricominciato da poco a fare sculture con la creta. Sono appassionato di rally, a febbraio c’è una selezione piloti per la scuderia Aci Rally Italia, quindi farò queste selezioni. Poi...chissà! La figata è che tutto è possibile.
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